Un mare di plastica

Mentre ci apprestiamo ad affrontare un nuovo referendum (fondamentale nella sua assurdità di “disfare” invece di creare nuove e migliori condizioni, osteggiato a tal punto dal governo – che, se ben ricordo, nessuno ha votato – da non accorparlo alle altre elezioni amministrative e quindi costato 300 milioni di euro in più!) vi regalo un nuovo motivo per entrare in depressione: secondo un nuovo e scioccante studio (elaborato dal World Economic Forum e dalla Ellen MacArthur Foundation), siamo “sulla buona strada per avere più plastica che pesce, in peso, negli oceani di tutto il mondo” entro il 2050.

Vi chiedo scusa, negli ultimi anni mi sono detto di stare alla larga da queste considerazioni catastrofiste. Ma in questo caso vorrei condividere il mio (e spero anche vostro) disgusto. La notizia mi fa riflettere per una serie di motivi: non solo perché la plastica è un pugno in un occhio a vedersi galleggiare in acqua; non solo perché ha un profondo impatto sull’ecosistema che va ben al di là della quantità (e qualità) di pesce e mammiferi acquatici compromessi (che ingeriscono pensando che i brandelli di plastica siano cibo); ma soprattutto perché riporta l’attenzione sulla nostra dipendenza nei confronti di questa roba e di quanto sia difficile “farne a meno”.

Il fatto che la metà dei rifiuti di plastica degli oceani provenga da cinque paesi (Cina, Indonesia, Filippine, Thailandia e Vietnam) non so voi, ma non mi solleva dalla questione: in primo luogo perché la loro spazzatura spesso proviene dai nostri usi e consumi; in secondo luogo perché il loro disagio non può che essere anche il nostro. Ma le avete mai viste le immagini delle persone che frugano e recuperano pezzi dalla spazzatura, senza alcuna sicurezza sulla tossicità dei rifiuti?

Ma più di tutto è necessario proporre delle soluzioni affinché sia prolungato il ciclo di vita dei materiali di plastica in modo che non diventino semplicemente rifiuti monouso. E, quindi, il comportamento del consumatore diventa chiave nell’ottica di cambiare le suddette previsioni: riciclare; fare la spesa con le borse di stoffa; acquistare lo sfuso; evitare la plastica nell’abbigliamento e la cosmesi; autoprodurre; riutilizzare barattoli o confezioni richiudibili per la conservazione dei cibi.

Ma concedetemi di spostare la riflessione sul fatto che la plastica non può essere etichettata come “nemico” in senso univoco. Nessuno di noi può negare gli effetti positivi che essa ha avuto sulle nostre vite.

Ed infatti, provate a pensare alle attrezzature di un ospedale o di una clinica. Tutto è di plastica! E noi siamo – quasi tutti – nati in un ospedale (e probabilmente ci moriremo anche). Ma io mi chiedo: qualcuno si è mai chiesto come verrà smaltito tutto ciò? Perché purtroppo la maggior parte non viene riciclata (lo stesso studio a cui mi riferisco svela che solo il 14 per cento della plastica viene riciclata, mentre il 70 per cento finisce nelle discariche o, appunto, in mare).

D’altra parte, io stesso sto scrivendo su un laptop in gran parte costituito di plastica, su una scrivania che immagino sia anch’essa rivestita dello stesso materiale, muovendo un mouse di… plastica! Aiuto! Il punto è che la maggior parte di noi non può astenersi tutto a un tratto della plastica, anche volendo. Se alcuni di noi ci riescono bravi loro, perlomeno ciò non accade per il resto della popolazione mondiale. Ci vuole educazione ed informazione. Maestri, scuole, … dove siete?

Mentre possiamo e dobbiamo esigere di più dalla nostra attitudine al riciclo della plastica, abbiamo anche bisogno di una legislazione che supporti questa green wave e tecnologie alternative a quelle che impiegano materiali inquinanti: in particolare, quelli migliori per il pianeta, sono per esempio biodegradabili; materiali in grado di ridurre il rischio di far diventare i nostri oceani delle discariche galleggianti.

Buon mare e buone nuotate a tutti.

 


A sea of plastic

Here is a new reason to be depressed: according to a new and shocking study issued by the World Economic Forum and the Ellen MacArthur Foundation, we are “on the way to having more plastic than fish by weight in the oceans around the world” by 2050.

I apologize, in the last few years I told myself to stay away from these catastrophic considerations. But, in this case I would like to share my (and hopefully your) disgust. This study concerns me for a number of reasons: not only because plastic is unpleasant to see floating in the ocean; not only because it has a profound impact on the ecosystem that goes far beyond the number of fish and aquatic mammals and their health (some eat plastic shreads thinking it is food); but mainly because it highlights our dependence on plastic.

Even though half of the ocean’s plastic waste comes from five countries (China, Indonesia, Philippines, Thailand and Vietnam), the west must be concerned too. First, the garbage in these countries often comes from western habits and consumption patterns. Second, the distress of our fellow men and woman must be ours as well. And finally, have you ever seen pictures of people searching and retrieving items from the garbage without any protection from the toxicity?

Solutions must be proposed to extend the life cycle of plastic materials so that they can become something other than disposable waste. Also, the consumer’s behavior is vital to changing such negative forecasts. The following steps can be taken: recycling; shopping with reusable bags; buying bulk food; avoiding plastic in clothing and cosmetics; creating home-made products; and using jars or resealable packages.

However, plastic cannot be an absoute enemy. None of us can deny the positive effects plastic has had on our lives. Think about hospital equipment! Everything is made of plastic! And, almost all of us are born in a hospital (and we will probably die there too). But, I ask myself – where will all of this end up? Unfortunately, most plastic is not recycled. The above referenced study reveals that only 14% of plastic is recycled, while 70% ends up in landfills or in the oceans.

On the other hand, I am writing on a laptop made of plastic, on a desk that is also coated in plastic, moving a mouse made of… plastic! Help me! The point is that most of us cannot avoid using plastic, even if we really want to. The truth is that few people can do that, but the rest of the world population cannot. We need education and information. Teachers, schools… where are you?

While we must cultivate a global entusiasm for plastic recycling, we also need legislation that supports this “green wave” along with alternative, green technologies that have a low impact on the planet by producing biodegradable materials. Technologies that can reduce the risk of turning our oceans into floating landfills.

Enjoy the beach and have a good swim

Il Paese delle trivelle

Editoriale apparso su ‘Vivere Sostenibile Basso Piemonte’.

Nonostante la corposa tornata amministrativa di giugno, quando andranno al voto milioni di italiani in città come Roma, Milano, Napoli, Torino e Bologna, sarà il prossimo 17 aprile la data nella quale si terrà il referendum sullo stop alle trivellazioni. Questa scelta di data che costerà alle casse dello Stato (e quindi alle nostre tasche) un aggravio di 300/400 milioni, appare giustificata solo dalla volontà che il referendum non raggiunga il quorum e quindi si trasformi in un flop.

Purtroppo si arriva al referendum senza che alla gran massa degli elettori, sia arrivata un’informazione corretta su questo tema importante per le conseguenze sull’ambiente e sull’economia del Paese. Personalmente ritengo che i media tradizionali, asserviti a logiche di schieramento, facciano una continua opera di “distrazione di massa”, utile e spesso indispensabile alla serenità di chi “guida il vapore”, ovvero di chi gestisce il potere e perciò agisce sulla nostra vita quotidiana.

Le ragioni di chi è favorevole alle trivellazioni, sono le solite: lo sviluppo, la crescita economica e, come sempre, l’occupazione. Ancora una volta sostengo con forza che l’economia, lo sviluppo e l’occupazione, sono conseguenza diretta delle scelte di politica economica. Se si investisse di più in ricerca ed applicazione delle energie a impatto zero, se si aumentassero gli sgravi per la riqualificazione edilizia di un patrimonio immobiliare nazionale all’80% in classe energetica “G”, se si costruissero e si ammodernassero le infrastrutture per spostare le merci su rotaia e quelle informatiche, se si puntasse di più su un’agricoltura pulita, sostenibile e libera da fitofarmaci, se si facesse una vera lotta agli sprechi di merce e di beni, dai carburanti fossili sprecati per riscaldare case e industrie “colabrodo”, al cibo prodotto, consumato in eccesso e fatto marcire per logiche mercantili, ebbene se si facesse tutto questo, non ci sarebbe alcun bisogno di cedere agli appetiti ingordi delle multinazionali del petrolio, pezzi di “Bel Paese”, perché vengano massacrati alla ricerca di idrocarburi. Pare che coloro che ancora sostengono l’uso e l’abuso dei carburanti fossili, vivano in un mondo parallelo, dove non si è mai sentito parlare di “riscaldamento globale”. Forse a codesti signori, ancora non è chiaro che esiste una conseguenza diretta tra il bruciare petrolio e derivati e aumento della temperatura globale!

Perciò è importante il nostro piccolo referendum! Perché se vogliamo pensare a un nuovo modello di sviluppo davvero sostenibile per l’ambiente e la società a livello globale, dobbiamo iniziare a dare segnali forti a livello locale! Dobbiamo iniziare a dire a chi governa l’economia, che ci possono essere strade alternative a quella che in 50 anni ha devastato il Pianeta, esasperato le disparità sociali, provocato e alimentato guerre e migrazioni di massa e arricchito una manciata di super-ricchi, affamando gran parte degli abitanti della Terra.

Elogio alle donne

Editoriale apparso su ‘Vivere Sostenibile Basso Piemonte’.

Non, Rien de rien
Non, Je ne regrette rien
Ni le bien qu’on m’a fait
Ni le mal tout ça m’est bien égal

Edith Piaf – Non, Je Ne Regrette Rien (1956)

Le Donne di oggi sono la vera risorsa del nostro presente. Se ci sarà un futuro migliore, sarà grazie a loro, perché capaci di mettersi in gioco e vivere, da attrici consapevoli, questa fase di cambiamento. Secondo voi, quale sarà la percentuale di genere tra vegan, agricoltori biologici o iscritti a corsi di Yoga? Dove penderà l’ago della bilancia? L’uomo oggi sembra sempre di più rassegnato a rappresentare l’icona del sesso debole: arranca, spaventato com’è dall’economia e dalla politica internazionale, cercando (senza trovarla) una soluzione dove non serve più, ovvero nella dimensione intellettuale ed analitica.

Ma perchè, vi direte, quest’elogio alle donne? Non starà esagerando? Non lo so, ma “devo” questo elogio a tutte quelle Donne che, da diversi mesi, sono entrate nella mia quotidianità. Senza di loro, senza la condivisione di valori importanti, tanto di ciò che vivo ogni giorno sarebbe impossibile.

“Le donne reggono il mondo”, così recita un libro che mi è capitato tra le mani qui in Cooperativa (edizioni Altreconomia). Perché? Beh, semplice: oltre a lavorare di più degli uomini e farsi carico della maggior parte delle incombenze domestiche, le donne gestiscono l’economia con più lungimiranza, qualità peraltro molto importante in una situazione di crisi economica, culturale e sociale come quella attuale. Nelle popolazioni meno fortunate (ma in realtà anche in quelle più fortunate, se pensiamo al fenomeno del gioco d’azzardo e alle scommesse sportive) provate a dare la stessa somma di denaro ad una donna e ad un uomo, e vedrete come sarà “investita”.

“Guardare il mondo attraverso gli occhi di una donna significa introdurre radicali trasformazioni tra le certezze del mondo moderno: per loro il benessere va rimesso al centro della società”: così recita il libro sopraccitato. E difatti riconosco quanto nelle donne vi sia poco del bieco individualismo, utilitarismo e senso della concorrenza dello sparring partner maschile. Non che sia mia intenzione etichettarle come più intelligenti o più buone degli uomini; forse, semplicemente, occupandosi di “tanto di più” rispetto ai mariti, si trovano in una posizione dalla quale possono vedere i limiti di questa economia così artificiosa ed insignificante; la speranza è che sempre più uomini (e ce ne sono, per carità!) comprendano che lo stare bene nella vita quotidiana dipende sempre più da elementi quali relazione, comunità, irrazionalità, empatia, dono… tutti elementi che mi auguro emergano sempre di più dalla crisi/opportunità in cui ci troviamo.

Potrebbe essere una visione un po’ semplicistica, lo ammetto, tuttavia sono in molti a credere che la crisi sia stata causata da una visione maschile del mondo. In questo momento c’è bisogno di una nuova visione dell’economia e della società, improntata su principi tipici della componente femminile: un forte elemento Yin (femminile) che vada ad equilibrare l’elemento Yang (maschile), che ci ha guidati verso un sistema economico parziale, ingiusto e insostenibile.

La tipica visione al femminile della società porta a chiedersi: non è preferibile riportare l’attenzione all’assistenzialismo e all’educazione, e quindi a mestieri quali infermiere, operatrici sanitarie e maestre di scuola, rispetto ad agenti di borsa o banchieri (mestieri tipicamente maschili)? Mi chiedo, inoltre: perché le cose a cui viene stabilito un prezzo dal mercato, dovrebbero avere un valore superiore a quelle che non hanno un prezzo? Soprattutto se quest’ultime risultano essere la cura dei figli e dei malati o la produzione di cibo?

E allora,  cari lettori e lettrici, concedetemi questo elogio alle Donne, senza giudicarmi o prendermi per eretico.

Se si guarda negli occhi di una donna,  si vedrà in profondità l’anima della creatura divina che sta davanti a noi. Ci sbaglieremmo di grosso nel pensare che non sia di questo mondo. Lei è un Essere etereo ed è un dono che merita di essere protetto. Permettetemi di onorare le donne nere, le donne musulmane, le donne indigene, le donne trans, le povere donne migranti con bambini piccoli, le prostitute, le donne maltrattate, le donne la cui voce è stata soffocata da decenni e decenni di violenze. Queste sono le donne che non mollano mai, nonostante tutto e tutti.

Vorrei onorare le donne perché vivono il presente per creare un mondo migliore – in cui vi sia giustizia, uguaglianza e libertà per tutti – che espandono la propria consapevolezza oltre allo stesso presente (perché bisogna pensare al domani), al di là della propria esperienza individuale (perché bisogna considerare anche gli altri), al di là del proprio Io (perché bisogna rimettere il focus delle nostre azioni sul cuore).

Io onoro quelle donne che cercano di essere perfette,  perché a loro non hanno mai insegnato che sono favolose così come sono e anche quelle che non cercano di esserlo, perché preferiscono impiegare il proprio tempo in maniera diversa.
Io onoro le donne,  perchè costruiscono ponti laddove c’è separazione: loro sì che sanno, nonostante le inevitabili differenze, quanto apparteniamo gli uni agli altri.
Io onoro le donne,  perché sono “vere”, perché riescono a camminare con il cuore pieno di cicatrici, nonostante le paure e le incertezze. Ma eccole, sempre loro, ad iniziare con un “buongiorno” la mattina, muovendo il primo passo della giornata verso l’Unione, la guarigione e l’Amore.
Io onoro le donne,  perché amano e continuano ad amare questo mondo lacerato dalla sofferenza, perché è pur sempre l’amore la forza che alimenta le nostre azioni.
Io onoro le donne,  perché si sacrificano, perché  danno, perché piangono. Perchè vanno avanti con fierezza, talvolta un po’ selvagge, sicuramente libere.

Ogni donna merita di essere amata. Ogni donna merita che le venga riconosciuta che la sua esistenza è preziosa. Se anche una donna ci sembra inferocita o chiassosa, all’interno sarà vulnerabile, come tutti.

Camminiamo insieme a lei. Guardiamo dentro di lei. Adoriamola, chiunque sia. Lei ci capiterà una volta nella vita. Lei è tutto. Siamone degni.

Inseminazione non-artificiale

Amo sporcarmi le mani di terra. Talvolta arrivo anche a sporcarmi le narici, tanto infilo il naso nel mucchietto di terriccio che accarezzo. Fuori è tutto neve e ghiaccio, è ancora presto e il Sole deve ancora uscire.

Nonostante il freddo della mattina e la stufa che “urla” in cucina, decido che la primavera sta per arrivare. Che è tempo di uscire dal torpore invernale. Ma non ho voglia di guardare il calendario lunare: certe cose si “sentono” e decido che oggi è giorno propizio per seminare nuove creature. Tiro fuori una scatola che prima conteneva Dolci alla mandorla siciliani. È colma di semi nuovi: pomodori “rosso e neri”, meloni “dolci come miele”, peperoncini “piccanti” (perché ne esistono di non piccanti?!), zucchine “trombetta”: che nomi fantasiosi questi semi, impacchettati alla bell’e meglio in carta di giornale, sacchettini di plastica con zip, pallottole di stagnola, … a testimonianza del Caos che governa la mia vita. Due scambi di semi hanno arricchito di biodiversità il mio (ex) misero archivio. Ho ricevuto più di quello che ho dato ed è momento di restituire con il mio tempo e la mia dedizione quanto mi è stato offerto. È la prima volta che mi prodigo con questa Qualità – con calma, pazienza, tranquillità e presenza – all’atto della semina. Lo considero un pezzo del mio sadhana. Ringrazio me stesso per essere riuscito a sviluppare questa attitudine nel ricavare degli spazi e dei momenti privilegiati in cui nessun altro impegno può vanificare. Terra, Acqua, Aria, Fuoco ed Etere: oggi ho stimolato tutti i miei Chakra, posso tornare a riposarmi in casa. Anzi no, è uscito il Sole.

 


No-artificial insemination

I love getting my hands really dirty with earth. Sometimes I even get my nose dirty too, as I push it into the little heap of earth that I am cradling. Outside it’s all snow and ice, it’s still early and the sun has yet to come out.

Despite the freezing morning and the stove that’s wheezing away in the kitchen, I have decided that spring is coming. It’s time to get out of that winter torpor. But I don’t want to look at the lunar calendar; certain things you feel and I have decided that today is the day to sow some new stuff. I pull out a box that previously contained Sicilian almond pastries. It is full of new seeds: “red and black” tomatoes, “sweet as honey” melons, spicy chillies (are there any chillies that aren’t spicy?!), “trumpet” courgettes: what fanciful names these seeds have, wrapped in newspapers, zipped plastic bags, bullets of foil… witness to the chaos that rules my life! Two seed exchanges have enriched with biodiversity my (previously) poor seed store. I received more than I gave and it is time to return with time and commitment everything that I was given. It’s the first time that I’m doing this with this sense of purpose – with calm, patience, peacefulness and presence – the act of sowing. I consider all of this a piece of my sadhana. I thank myself for being able to develop this attitude in finding space and time as nothing else can frustrate me and take me away. Earth, Water, Air, Fire and Ether: today I energized all my Chakras, it’s time to come home and rest. Hey, the sun just came out!

Risparmio e autoproduzione: perchè sì?

Editoriale apparso su ‘Vivere Sostenibile Basso Piemonte’.

Autoprodurre significa tornare a saper fare le cose con le nostre mani, riscoprendo, spesso, metodi di lavoro antichi. Si tratta a tutti gli effetti di una filosofia di vita, oltre che di un atto di rispetto per sè stessi e per il Pianeta. Perché ci fa bene? Perché è un modo di riappropriarsi del proprio tempo, di trascorrerlo liberando la propria creatività, che è in tutti noi, ma che spesso ha bisogno di essere stimolata ed allenata. A molti l’idea piace, però fatica a metterla in pratica, ad altri spaventa: a me, invece, crea dipendenza!
Sì, perché, una o due volte a settimana, mi diletto nella preparazione del pane con la pasta madre e dei germogli;  almeno una volta al mese preparo il latte di soia o di riso (v. mio articolo pag. 14); occasionalmente mi avventuro nella fabbricazione della birra (spalleggiato da amici molto “interessati”), del dentifricio, del detersivo per la lavatrice… Per non parlare di altre trasformazioni legate alla campagna e alla stagionalità, come le marmellate, le conserve e il compost per l’orto. E, in questi casi, ogni mano in più diventa un regalo prezioso.
Di base, prima di acquistare, valuto con attenzione i miei bisogni reali, mi chiedo che cosa mi sia necessario per autoprodurre, per poi decidere in base alle mie possibilità. In questo modo, provo a spostare più in alto l’asticella dei miei usi e consumi, partendo dall’ingrediente base, piuttosto che puntare esclusivamente al prodotto finito.

Non c’è dubbio che la vita del volenteroso autoproduttore sia impegnativa: il tempo sembra non essere mai abbastanza, anche soltanto per cercare le informazioni, le soluzioni più in linea con le proprie aspettative (e budget), per non parlare della preparazione e dell’elaborazione. Produrre in casa costa fatica, ma è divertente e porta grandi soddisfazioni: ci si riconnette con il presente, si riduce lo spreco, l’inquinamento ed, infine, ci si emancipa, per quanto possibile, dal mercato, che ci vizia e stravizia con prodotti e servizi spesso inutili, provenienti da chissà dove e contenenti chissà che cosa.
E’ importante, poi, a mio parere, maturare e mantenere un atteggiamento positivo rispetto a ciò che si compie. Nella filosofia orientale si usa l’espressione karma yoga, ovvero quell’attitudine a compiere un’azione (o un lavoro, qualunque esso sia) godendosi l’attimo presente in cui si svolge, senza dare troppa importanza al risultato e ai frutti delle proprie azioni. È il cammino, il processo, ciò che conta di più. Quel saggio di Goethe, non certo di origine indú, scriveva che “non è importante fare dei passi che un giorno ci condurranno al fine, ognuno di questi passi deve essere in se stesso una meta”.
Non essere più dipendente dal supermercato, perché la zucca che cresce coltivata nell’orto grazie ai semi scambiati o conservati dall’anno precedente, è una possibilità reale, è una realtà concreta: significa aver già intrapreso una rivoluzione di indipendenza, di aver fatto la dichiarazione pubblica di non accettare il controllo dell’industria alimentare. Ma sono scelte, niente di più, niente di meno. Poi è chiaro, si potrebbe discorrere in pagine e pagine sul concetto di cittadino = consumatore, di emancipazione, di resilienza, di ribellione agli schemi e condizionamenti sociali, eccetera eccetera. Tutti discorsi che mi trovano profondamente d’accordo, ma sempre tesi a voler giustificare un qualcosa che, in concreto, ognuno di noi dovrebbe “sentirsi di fare”. La realtà è che, se provassimo a vivere tutti in modo più semplice e frugale, non ci ritroveremmo a vivere in un Pianeta che, ogni anno, perde settimane di vita rispetto all’anno precedente a causa dei cambiamenti climatici derivati dallo sfruttamento dissennato delle risorse naturali non rinnovabili.
L’evoluzione ci ha portato ad innalzarci dalla quadrupedia alla bipedia: allora usiamo le mani, per trasformare in meglio un mondo che non ci piace e che non ci rende felici. E proviamo ad impiegare il nostro tempo, ridotto all’osso, per diffondere, diffondere ed ancora diffondere, le buone pratiche quotidiane!

 

“Laudata” sia la nostra casa comune – Il Papa dal cuore verde

Editoriale apparso su ‘Vivere Sostenibile Basso Piemonte’.

“Ci vuole un’altra rotta, per contrastare la globalizzazione dell’indifferenza.
“Una cosa è certa, l’attuale sistema mondiale è insostenibile”.
“Serve una rivoluzione culturale”.
“No all’antropocentrismo deviato”.
“Difesa della natura”.
“Rinunciare ad investire sulle persone
per ottenere un maggior profitto immediato
è un pessimo affare per la società”.
“Rallentare il passo”.
“Ridefinire il progresso”.
“Tutelare la biodiversità”.
“Conversione ecologica”.

Questo appello non proviene da un anarchico, da un obiettore di coscienza o da un sostenitore della Decrescita Felice… bensì da Papa Francesco, in occasione dell’enciclica dello scorso Giugno “Laudato si’. Enciclica sulla casa comune”. Dove per “casa comune” s’intende il nostro Pianeta, naturalmente. Un Pianeta minacciato dalla diseguaglianza sociale tra Nord e Sud, dal problema dei rifiuti, dal riscaldamento climatico, …
Non c’è che dire, il grido d’allarme di Papa Begoglio in difesa della natura, della Terra “sorella e madre” e dell’ecologia è una presa di posizione che ci riempie di gratitudine. Le sue sagge parole – espresse in pieno Expo 2015, laddove si dovrebbe parlare di come sfamare senza distinzioni la popolazione mondiale – risuonano come una benedizione per noi che, ogni giorno, combattiamo per un mondo più buono e giusto. Il suo messaggio ci fa ben sperare, soprattutto alla luce del miliardo e duecento milioni di credenti che, mossi dal suo invito coraggioso alla solidarietà universale, potrebbero dare una svolta consapevole ad un sistema che si è rivelato fallimentare e che ci sta conducendo al collasso ambientale, economico e sociale.

Che l’enciclica di Papa Francesco non sia letta solo come una semplice riflessione sull’ambiente ma anche come documento politico non mi è chiaro. Se lo farà, significa che avrà trovato terreno fertile in una società comunque fondata sugli abusi della tecnologia e dell’industria, sulle ineguaglianze sociali e sugli sprechi della globalizzazione. Infatti, pur avendo da subito suscitato delle reazioni nella politica internazionale, temo che i governanti attuali faranno fatica anche solo a battere le ciglia – perchè la nostra salvezza è comunque la “crescita”, questo è il mantra che ci propinano da decenni: sta quindi a noi, solo a noi, costituire quella massa critica per far sì che questo sistema possa davvero essere accantonato in favore di uno più attraente. Un sistema che preveda un’economia fondata sui principi dell’ecologia, dell’etica, del bene comune, della condivisione. All’interno del quale le persone possano sentirsi realizzate (felici!) consumando di meno, ma meglio. Dove “sobrietà” sia una delle parole d’ordine. Dove si possa andare oltre al mero utilitarismo del breve periodo. Un sistema fatto da tante piccole azioni quotidiane, tante gocce nel mare, che trasformino i problemi in soluzioni. Crisi come opportunità. “Cominciate col fare tutto ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile” (San Francesco d’Assisi). Qualcuno parlerà di idealismo, altri di utopia. Non è facile “cambiare il mondo”, il sistema attuale non ci vuole felici, perchè saremmo finalmente liberi di sovvertirlo.

“Una persona felice vuole vivere in mezzo ai fiori e di poesia e musica. Perchè dovrebbe interessargli andare in guerra a farsi uccidere o uccidere lui stesso?” diceva Osho. Con un po’ di responsabilità e di coraggio in più, metà del lavoro sarà compiuto. E se servirà un miracolo… “Laudato sì, … mio Signore!”.

Un libro per il mio Cammino

Gracias a la vida, que me ha dado tanto

Me ha dado la marcha de mis pies cansados

Con ellos anduve ciudades y charcos

Playas y desiertos, montañas y llanos

Y la casa tuya, tu calle y tu patio

(da “Gracias a la vida”, scritta ed incisa per la prima volta da Violeta Parra, tejedora cilena)

Sono passati solo due giorni ma mi sembrano secoli. L’allenamento è una cosa, la vita un’altra. E poi avevo sottovalutato la fatica extra nel portare 15 chili sulle spalle tutti i giorni… Il Camino mette alla prova sin dalla partenza ed è bello che sia così. Eppure, sento che in me qualcosa sta cambiando: questo percorso magico – attraversato storicamente da milioni di pellegrini e protetto dalla Mano Divina – mi è già entrato nella pelle. Centinaia di giovani e non, di qualsiasi latitudine ed estrazione sociale, ogni giorno s’immergono nell’energia di questi luoghi. Percepisco in me una lucidità che genera sensazioni difficili da interpretare: senz’altro, quella di stare facendo “la cosa giusta al momento giusto”.

Al termine della tappa di oggi (Roncesvalles – Larrasoaña, nda) – percorsa in buona parte insieme a William, un giovane inglese docente di Filosofia – ho scorso un fiume. Così decido di mantenermi attivo e di resistere alla tentazione di concedermi il pisolino pomeridiano, opzione che sembra essere la più gettonata tra i miei “colleghi” pellegrini (Will compreso). Dopo aver sistemato lo zaino nel letto che mi è stato assegnato, mi metto alla ricerca dell’ingresso al fiume. L’ambiente è quello che al momento fa per me: fa caldo, non c’è nessuno e distinguo un bel pietrone piatto, sul quale mi siedo per distendermi, meditare e leggere. Sì, perchè il caso (che indubbiamente non esiste, soprattutto in una allegoria come il Cammino di Santiago… ve l’assicuro, ho le prove!) mi ha regalato un libro speciale, Siddharta di Hermann Hesse. Sin dalla mia partenza rimpiangevo il fatto di non essermi portato un libro: aveva infatti prevalso in me l’idea di non sovraccaricarmi di peso ulteriore… Ma chi l’avrebbe immaginato di trovare – nel Municipio di Larrasaoña – un libro così speciale, oltretutto in italiano!

Così mi immergo nella lettura proprio come fanno i miei piedi nell’acqua del fiume, trovando conforto dopo i 27 km percorsi sotto il sole cocente della Navarra. E subito mi lancio in analogie con il protagonista del romanzo e tra il “mio” e il “suo” fiume. Un fiume che semplicemente è in ogni istante, unione del tempo e dello spazio, perchè è nel “qui e ora”, in ogni momento e in ogni luogo non è mai uguale. Mi connetto, ringrazio ogni istante della mia esistenza e presenza, immagino di fluire come l’Acqua: la mia mente si acquieta, i ritmi rallentano. Questo libro rappresenterà per me un simbolo per tutti i giorni che mi separeranno da Santiago di Compostela; non prima, però, di averlo lasciato al suo destino, che lo porterà, forse, dentro lo zaino di qualche altro pellegrino sudato ed in cerca d’Illuminazione come me.

“Hai appreso anche tu quel segreto del fiume: che il tempo non esiste?”. Un chiaro sorriso si diffuse sul volto di Vasudeva. “Si Siddharta” rispose.

“Ma è questo ciò che tu vuoi dire: che il fiume si trova dovunque in ogni istante, alle sorgenti e alla foce, alla cascata, al traghetto, alle rapide, nel mare, in montagna, dovunque in ogni istante, e che per lui non vi è che presente, neanche l’ombra del passato, neanche l’ombra dell’avvenire?”. “Si, questo” disse Siddharta. “E quando l’ebbi appreso, allora considerai la mia vita, e vidi che è anch’essa un fiume, vidi che soltanto ombre, ma nulla di reale, separano il ragazzo Siddharta dall’uomo Siddharta e dal vecchio Siddharta. Anche le precedenti incarnazioni di Siddharta non furono un passato, e la sua morte e il suo ritorno a Brahma non sono un avvenire.

Nulla fu, nulla sarà: tutto è. Tutto ha realtà e presenza”. Siddharta parlava con entusiasmo; questa rivelazione l’aveva reso profondamente felice. Oh, non era forse il tempo la sostanza di ogni pena, non era forse il tempo la sostanza di ogni tormento e d’ogni paura, e non sarebbe stato superato e soppresso tutto il male, tutto il dolore del mondo, appena si fosse superato il tempo, appena si fosse trovato il modo di annullare il pensiero del tempo?


 

A book for my Way

Gracias a la vida, que me ha dado tanto

Me ha dado la marcha de mis pies cansados

Con ellos anduve ciudades y charcos

Playas y desiertos, montañas y llanos

Y la casa tuya, tu calle y tu patio

(from “Gracias a la vida”, written and played for the first time by Violeta Parra, Chilean tejedora)

 

There are passed only two days but they look as centuries. Training is one thing, life’s something else. I underestimated also the extra effort in carrying 15 kilos on my shoulders every day… The Camino tests pilgrims since the departure and it’s ok as it is. I feel that something is already changing though: this magic path – historically walked from million of milion of pilgrims and protected by the Divine Hand – is already entered in my skin. Hundreds of young and elderly people, of any latitude and social condition, every day slip on the Energy of this environment. I perceive in me a new lightness that generates feelings difficult to put on paper: certainly, the ones of doing “the right thing at the right time”.

At the end of the stage today (from Roncesvalles to Larrasoaña) – walked in company of William, a young teacher of philosophy from UK – I have seen a river. Then I decide to keep me active and resist to the temptation of getting a nap, that seems to be the most popular option between my buddies (Will included). After having placed my backpack on the bed they assigned me, I come just besides the river. I can’t ask any better: it’s cool enough, nobody is here and there’s one large stone where I can lie down, meditate and read. Yes, since the case (that undoubtedly is not real, especially in one allegory as the Santiago’s Way!) has given to me a special book: Siddhartha by Hermann Hesse. Since my home departure I regret to do not have brought with me any book: it prevailed the idea of avoiding weight in excess… but who could have imagined of finding – in the municipality of Larrasaoña – a book like that, in Italian! So I dive into the reading as much as my feet do into the water, finding refreshment after the 27 km walked under the burning sun of the Navarra region.

I immediately launch myself in similarities with the protagonist of the novel and between “my” and “his” river. A river that simply is in every moment, union of time and space, being in the “here and now”, in every moment and in every place is never the same. I breath, I thank myself and Whoever for my existence and my presence, and I imagine myself flowing as I was water: my mind gets quiet soon and rhythms slow down. This book will represent a symbol for all the days that divide me from Santiago of Compostela; not before, then, of having left it to his destiny, that will bring it, maybe, inside a backpack of some other pilgrim sweaty and in seeking of lighting like me.

“Have you also learned that secret from the river; that there is no such thing as time?”. That the river is everywhere at the same time, at the source and at the mouth, at the waterfall, at the ferry, at the current, in the ocean and in the mountains, everywhere and that the present only exists for it, not the shadow of the past nor the shadow of the future.”

“This it is,” said Siddhartha. “And when I had learned it, I looked at my life, and it was also a river, and the boy Siddhartha was only separated from the man Siddhartha and from the old man Siddhartha by a shadow, not by something real. Also, Siddhartha’s previous births were no past, and his death and his return to Brahma was no future. Nothing was, nothing will be; everything is, everything has existence and is present.

Siddhartha spoke with ecstasy; deeply, this enlightenment had delighted him. Oh, was not all suffering time, were not all forms of tormenting oneself and being afraid time, was not everything hard, everything hostile in the world gone and overcome as soon as one had overcome time, as soon as time would have been put out of existence by one’s thoughts?