Abitare felici nella vita di tutti i giorni

Editoriale apparso su ‘Vivere Sostenibile Basso Piemonte’.

E’ finalmente arrivato il suo momento! Rullo di tamburi… su Vivere Sostenibile ecco a voi la Bioedilizia! Scherzi a parte, da quando siamo partiti con l’avventura editoriale, insieme ai miei collaboratori mi sono chiesto: “Quando verrà il momento in cui parleremo della nostra casa, dell’energia e dell’architettura sostenibile?”. Sì, perchè qui stiamo parlando di un elemento fondamentale della nostra quotidianità. Personalmente ritengo che la qualità della nostra vita sia tanto più elevata quanto più stiamo nell’ambiente esterno. Tuttavia, negli ultimi decenni si osserva una situazione capovolta: prima si stava essenzialmente fuori e si entrava in casa per lo più per dormire, ora la maggior parte del tempo si sta in locali chiusi e quel poco che resta all’esterno. E’ emerso, oltretutto, che l’interno delle case sia più inquinato dell’esterno, benché nell’immaginario comune sia vero il contrario. Negli uffici, nelle case di cura, negli ospedali e nelle scuole sono presenti centinaia e centinaia di composti volatili che causano gravi conseguenze croniche o acute per la salute (benzene e formaldeide solo per citare i principali). Vogliamo parlare, poi, dei solventi presenti nelle colle, nelle vernici e pitture comunemente usate nella produzione di tappeti, carton gesso e mobilio in legno pressato e dell’inquinamento tecnologico proveniente da apparati moderni come i computer, i monitor e le TV?

Proviamo, quindi, ad immaginare un individuo che abbia piacere di vivere in modo sano (per quanto possibile): alimentazione naturale, esercizio fisico, pratica per la mente e viaggi per liberare la mente. Se però quest’individuo fosse totalmente inconsapevole dell’inquinamento domestico, se abitasse in una palazzina di cemento armato, nel centro di una città caotica e inquinata? Quale benessere netto ne conseguirebbe?

Abitare in un edificio significa conoscerne i criteri costruttivi adottati e, di conseguenza, come il complesso residenziale sia inserito nell’ambiente circostante, se ad impatto zero o meno. Altre domande da porsi: gli arredi strutturali interni assieme ai locali di abitazione saranno anch’essi ad impatto zero? Troveremo agenti inquinanti dentro e/o fuori del complesso abitativo? Le risposte – molto complesse ed articolate, per questo ci perdonerete il ritardo – si possono trovare nella Bioedilizia, che si fonda essenzialmente su tre pilastri: ambiente, salute e risparmio energetico. Essa si prefigge di ridurre i consumi delle energie non rinnovabili e di attenuare in modo significativo, mediante l’uso di materiali ecologici, gli effetti delle strutture abitative sulla salute delle persone e sull’ecosistema circostante. Mi viene in mente il tragico caso dell’amianto, di cui troviamo – purtroppo – esempi in tutto il Paese ed in particolar modo nella città di Casale Monferrato in provincia di Alessandria.

 

Vorrei, poi, sottolineare come i termini “risparmio energetico” e “sostenibilità” non sempre siano parte della stessa storia. Il risparmio energetico dovrebbe, a mio avviso, essere perseguito non creando delle temperature tropicali nei nostri appartamenti e adottando fonti energetiche alternative al petrolio per il riscaldamento e la produzione di energia elettrica. Avanti tutta, quindi, con fotovoltaico, geotermia e piccole pale eoliche, ovvero un insieme strategico di fonti complementari l’una all’altra, che può arrivare a sostituire quelle tradizionali (facendosi aiutare chiaramente da esperti). Dal punto di vista architettonico, invece, ampio spazio all’isolamento delle pareti con materiali naturali che non rilasciano tossine, come ad esempio la paglia, il legno e la canapa.

 

Secondo alcuni studi del Dipartimento Ambiente della Comunità Europea, oltre il 40% dell’energia complessiva prodotta in Europa viene consumata dall’edilizia e quest’ultima utilizza una rilevante quantità di materie prime, attorno al 50%, prelevandole dalla natura. In Italia esiste un immenso patrimonio abitativo da ristrutturare: è sull’esistente che si dovrebbe intervenire, ove possibile, favorendo a livello pubblico incentivi economici e forme di defiscalizzazione delle spese relative. Ma è anche compito dell’informazione dare messaggi chiari ai cittadini, svincolandoli, se possibile, dalla paccottiglia di termini e definizioni sterili, quali green economy, bio e eco. Personalmente sono stufo della mercificazione del benessere: abitiamo al meglio la nostra vita, che non ne abbiamo altre da sprecare inquinandole con l’avidità ipocrita di coloro che comunicano estetica e non sopravvivenza biologica.

Estratti di frutta, che passione!

Articolo apparso su ‘Vivere Sostenibile Basso Piemonte’.

Il cibo che mangi può essere o la più sana e potente forma di medicina o la più lenta forma di veleno. Ann Wigmore

Esco dall’orto con carote, ortiche, sedano e menta. Nella desolazione del mio frigo trovo un limone, un po’ di zenzero e del succo d’uva Brachetto. Che cosa ci faccio? Da dove comincio? Beh, queste due domande assillavano ogni Primavera/Estate l’emisfero destro del mio cervello, che provava a capirci qualcosa per il pranzo. Poi arrivò Catia, diventata poi grande amica e collega sui tappetini di Yoga, con la sua filosofia crudista e l’estrattore di succhi. Per nulla incline a spendere centinaia e centinaia di euro per un elettrodomestico che neanche posso infilare nello zaino, mi sono fatto convincere nell’acquistare questo estrattore tedesco rosso & nero: un robusto nuovo amico che, dopo più di un anno, continua a fare il suo sporco lavoro ricordandomi le gesta un po’ sconclusionate del “Maggiolino” tutto-matto. Infilo la verdura dentro l’estrattore, lo aziono e ne esce un succo arancione tendente al verde (o se preferite, il contrario) che mi pappo felice come una Pasqua. Meno felice sarò quando dovrò ripulirlo, ma fa parte del gioco… prima il piacere e poi il dovere! Così ci insegnavano a scuola, no?!

Dopo questa esperienza del tutto personale, provo a tornare serio ed elencare i benefici nel consumare gli estratti di verdura, fuori casa take away o fatti in casa con il proprio estrattore. Perchè fanno davvero bene e poi sono buonissimi. I vantaggi nel consumare succhi appena spremuti sono molti: ci danno energia immediata; sono freschi, dissetano e aiutano il processo digestivo; ci donano qualità nella nostra nutrizione quotidiana, aumentando l’assunzione di sostanze fitochimiche salutari (beta-carotene e clorofilla, per esempio). Possono essere considerati anche dei sostituti del pranzo (soprattutto d’estate, quando c’è maggiore scelta di combinazioni tra frutta e verdura e il nostro corpo preferisce pasti leggeri), ma non forniscono tutto il nutrimento di cui abbiamo bisogno: non serve essere biologi nutrizionisti nel ritenere opportuno integrare la propria dieta con ulteriori proteine e grassi vegetali.

Detto questo, lascio lo spazio a Luca di Zero Organic Food di Alba che, nel ricordarmi 1. l’importanza dell’estrattore e 2. delle materie prime (fresche e biologiche), ci regala qualche spunto e ricetta curiosa con i rispettivi benefici.

Estratto Sole
5 albicocche
3 carote
Almeno 1 cm di zenzero
Almeno 3/8 di limone percentuale di scorza ad libitum

Estratto Rinfrescante ed Energizzante
1/2 Melone
da 6 a 9 foglie di Basilico
1 cucchiaio di semi di canapa (meglio se germoglianti non germogliati)

Estratto Buonanotte
2 gambi di Sedano
1/2 Lattuga
1 Mela Verde (coccola) o Cetriolo
almeno 10 foglie di melissa

Senza essere sofista sofisticato è bene sapere che anche la semplice Carota fa magie. L’estratto di carota può essere assunto senza termine in qualsiasi (ragionevole) quantità. Fiumi di carota (volendo fino a 4 litri/giorno). La più ricca fonte di vitamina A biodisponibile con tante altre amiche la B, la C, la D, la G e la K. Fortifica la struttura delle ossa e dei denti. Una panacea per i bambini che ne apprezzano il gusto neutro.

Grazie di cuore Luca e buona Estate a tutti!

Ma chi te lo fa fare?

Sulla via di casa prima del ponte di ferro da qualche settimana capeggia uno striscione con su scritto: “Ma chi te lo fa fare?”. Ora, a me non interessa chi l’abbia scritto (chiunque tu sia, grazie!) e perché. Credo, infatti, che questa sia la classica “domanda da un milione di dollari” (quelli del Monopoli ovviamente) e che ognuno di noi dovrebbe porsi ogni benedetta mattina quando, entrando in bagno, osserva il suo bel (o brutto) faccino appiccicato allo specchio.
Questa domanda – “Ma chi te lo fa fare?” – è cruciale perché sono convinto che ogni istante della nostra vita, ogni nostra scelta (o non scelta) debba essere messa in discussione. Solo così potremo parlare davvero di consapevolezza, progredire e diventare quella sorta di superuomini di zarathustiana memoria.

(Ma chi me lo fa fare) di andare in vacanza ad agosto, che ci sono milioni di stronzi in giro come me, che tutto è più caro e vivo “col terrore che mi rubino l’argenteria” (cit. Rino Gaetano)?
(Ma chi me lo fa fare) ogni mattina di rimanere in coda un’ora e bestemmiare prima, dopo e – perché no – durante il lavoro?
(Ma chi me lo fa fare) di alzarmi tutte le mattine e trovare questo mostro che dorme a fianco a me?
(Ma chi me lo fa fare) di fare 2 ore di yoga, pranayama e meditazione al mattino e alla sera, di mangiare come un uccellino e cantare pure dei mantra di cui conosco a malapena origine e significato?

Insomma, credo che sia un’ottima idea iniziare a farci questo tipo di domande affinché la nostra vita sia davvero quell’espressione di libertà, gioia e amore verso cui, forse, con tempi e strumenti diversi, stiamo tutti mirando.


Why the hell am I doing that?

On my way home before the iron bridge a few weeks ago I noticed a banner with this writing: “Why the hell are you doing that?” It’s irrelevant who wrote this and why (even though he has all my respect, thank you bro!).

I think, in fact, that this is the typical “one million dollar question” (Monopoly dollars of course) and that every one of us should ask himself every f**** morning while entering the bathroom, looking at its nice (or ugly) face stuck in the mirror: “why the hell am I doing that?” This question is crucial as I am convinced that every step of our lives, every choice (or not) should be questioned. Only in this case we can talk about awareness, and progressing and becoming that sort of supermen of Zarathustian memory.

(why the hell am I doing that) to go on holidays in August, while there are millions of assholes around like me, when everything is so f**** expensive and I shall live “with terror that someone could steal my silverware” (just to mention a famous Italian songwriter)?
(why the hell am I doing that) every morning to stay in line for hours in traffic just to curse before, after and probably while I’m at work?
(why the hell am I doing that) to wake up every damn morning and see this monster sleeping next to me?
(why the hell am I doing that) 2 hours of yoga, pranayama and meditation both in the morning and in the evening, eat like a bird and sing mantras that I barely know their origin and meaning?

In short, I believe that it is a great idea to begin to ask ourselves such a question so that our life can really be that expression of freedom, joy and love which, perhaps, with different time and tools, we are all aiming for. Thank you.

Biologico e chilometro zero: un binomio vincente

Articolo apparso su ‘Vivere Sostenibile Basso Piemonte’

In molti si chiedono: “E’ meglio il cibo biologico o quello a chilometro zero ?”. Apparentemente non esiste una risposta: da una parte abbiamo l’utilizzo di un metodo di coltivazione più rispettoso della terra (grazie al minor utilizzo di fertilizzanti e concimi chimici) e un cibo più sano e gustoso. Senza però avere alcuna assicurazione che esso provenga da agricoltori locali, anzi. Spesso accade, infatti, che la verdura (pur biologica) di stagione provenga non dalla nostra zona ma da altre parti d’Italia, se non da paesi UE o extra UE. Un vero peccato. È qui che entra in gioco il chilometro zero: in altre parole, si tratta di privilegiare quella produzione alimentare da filiera corta, che stabilisce un numero esiguo di passaggi tra produttore e consumatore (e, quindi, un prezzo equamente distribuito e frutto di un’intermediazione limitata), con possibilità di un dialogo diretto e la piena trasparenza. Ciò sostiene l’economia (e le botteghe) locale e abbatte le spese di trasporto e d’inquinamento inutili, garantendo la freschezza e la minima manipolazione delle materie prime, per mantenerne intatte le proprietà.

E allora? Cos’è meglio? Il biologico o il chilometro zero? Non c’è una risposta a questa domanda, perchè come spesso accade bisogna cercarla nel mezzo… sarebbe bene, infatti, che il cibo che entra nelle nostre case fosse sia l’uno che l’altro! A mio parere l’ideale sarebbe coltivare – almeno nella bella stagione – i propri ortaggi. Non solo perchè più sano e giusto, ma anche perchè rappresenta un’attività che si svolge all’aria aperta e che ci permette di alleviare le tensioni e lo stress delle nostre vite frenetiche e così “artificiali”. Chiaramente non tutti hanno la possibilità di vivere in campagna e quindi la soluzione per i cittadini può essere quella di utilizzare il proprio balcone: creatività al potere!

Ma dove rivolgersi qualora non si abbia neanche la possibilità di coltivare l’orto sul bancone? O ci si voglia concedere uno sputino nella pausa pranzo? Ebbene, sono sempre di più le attività commerciali, i negozi, i Farmer Market, i Gruppi d’Acquisto Solidale (G.A.S.) e i ristoranti che si avvalgono d’ingredienti provenienti da agricoltura biologica e locale. Andando a spasso per i centri zona del Basso Piemonte potrete individuare diversi negozi, gastronomie o caffetterie dove i titolari hanno deciso di puntare sulla filosofia organic and local food. Sperando di non fare torto a nessuno (segnalateci in ogni caso attività analoghe alla mail della nostra Redazione), vorrei consigliare tre luoghi in particolare, uno per provincia: Orto Zero Cafè in Piazza Santa Maria di Castello ad Alessandria, i negozi Cuore Bio della Cooperativa della Rava e della Fava ad Asti e Zero Organic Food, in via Rattazzi ad Alba (CN). Meritano davvero una visita!

Un mare di plastica

Mentre ci apprestiamo ad affrontare un nuovo referendum (fondamentale nella sua assurdità di “disfare” invece di creare nuove e migliori condizioni, osteggiato a tal punto dal governo – che, se ben ricordo, nessuno ha votato – da non accorparlo alle altre elezioni amministrative e quindi costato 300 milioni di euro in più!) vi regalo un nuovo motivo per entrare in depressione: secondo un nuovo e scioccante studio (elaborato dal World Economic Forum e dalla Ellen MacArthur Foundation), siamo “sulla buona strada per avere più plastica che pesce, in peso, negli oceani di tutto il mondo” entro il 2050.

Vi chiedo scusa, negli ultimi anni mi sono detto di stare alla larga da queste considerazioni catastrofiste. Ma in questo caso vorrei condividere il mio (e spero anche vostro) disgusto. La notizia mi fa riflettere per una serie di motivi: non solo perché la plastica è un pugno in un occhio a vedersi galleggiare in acqua; non solo perché ha un profondo impatto sull’ecosistema che va ben al di là della quantità (e qualità) di pesce e mammiferi acquatici compromessi (che ingeriscono pensando che i brandelli di plastica siano cibo); ma soprattutto perché riporta l’attenzione sulla nostra dipendenza nei confronti di questa roba e di quanto sia difficile “farne a meno”.

Il fatto che la metà dei rifiuti di plastica degli oceani provenga da cinque paesi (Cina, Indonesia, Filippine, Thailandia e Vietnam) non so voi, ma non mi solleva dalla questione: in primo luogo perché la loro spazzatura spesso proviene dai nostri usi e consumi; in secondo luogo perché il loro disagio non può che essere anche il nostro. Ma le avete mai viste le immagini delle persone che frugano e recuperano pezzi dalla spazzatura, senza alcuna sicurezza sulla tossicità dei rifiuti?

Ma più di tutto è necessario proporre delle soluzioni affinché sia prolungato il ciclo di vita dei materiali di plastica in modo che non diventino semplicemente rifiuti monouso. E, quindi, il comportamento del consumatore diventa chiave nell’ottica di cambiare le suddette previsioni: riciclare; fare la spesa con le borse di stoffa; acquistare lo sfuso; evitare la plastica nell’abbigliamento e la cosmesi; autoprodurre; riutilizzare barattoli o confezioni richiudibili per la conservazione dei cibi.

Ma concedetemi di spostare la riflessione sul fatto che la plastica non può essere etichettata come “nemico” in senso univoco. Nessuno di noi può negare gli effetti positivi che essa ha avuto sulle nostre vite.

Ed infatti, provate a pensare alle attrezzature di un ospedale o di una clinica. Tutto è di plastica! E noi siamo – quasi tutti – nati in un ospedale (e probabilmente ci moriremo anche). Ma io mi chiedo: qualcuno si è mai chiesto come verrà smaltito tutto ciò? Perché purtroppo la maggior parte non viene riciclata (lo stesso studio a cui mi riferisco svela che solo il 14 per cento della plastica viene riciclata, mentre il 70 per cento finisce nelle discariche o, appunto, in mare).

D’altra parte, io stesso sto scrivendo su un laptop in gran parte costituito di plastica, su una scrivania che immagino sia anch’essa rivestita dello stesso materiale, muovendo un mouse di… plastica! Aiuto! Il punto è che la maggior parte di noi non può astenersi tutto a un tratto della plastica, anche volendo. Se alcuni di noi ci riescono bravi loro, perlomeno ciò non accade per il resto della popolazione mondiale. Ci vuole educazione ed informazione. Maestri, scuole, … dove siete?

Mentre possiamo e dobbiamo esigere di più dalla nostra attitudine al riciclo della plastica, abbiamo anche bisogno di una legislazione che supporti questa green wave e tecnologie alternative a quelle che impiegano materiali inquinanti: in particolare, quelli migliori per il pianeta, sono per esempio biodegradabili; materiali in grado di ridurre il rischio di far diventare i nostri oceani delle discariche galleggianti.

Buon mare e buone nuotate a tutti.

 


A sea of plastic

Here is a new reason to be depressed: according to a new and shocking study issued by the World Economic Forum and the Ellen MacArthur Foundation, we are “on the way to having more plastic than fish by weight in the oceans around the world” by 2050.

I apologize, in the last few years I told myself to stay away from these catastrophic considerations. But, in this case I would like to share my (and hopefully your) disgust. This study concerns me for a number of reasons: not only because plastic is unpleasant to see floating in the ocean; not only because it has a profound impact on the ecosystem that goes far beyond the number of fish and aquatic mammals and their health (some eat plastic shreads thinking it is food); but mainly because it highlights our dependence on plastic.

Even though half of the ocean’s plastic waste comes from five countries (China, Indonesia, Philippines, Thailand and Vietnam), the west must be concerned too. First, the garbage in these countries often comes from western habits and consumption patterns. Second, the distress of our fellow men and woman must be ours as well. And finally, have you ever seen pictures of people searching and retrieving items from the garbage without any protection from the toxicity?

Solutions must be proposed to extend the life cycle of plastic materials so that they can become something other than disposable waste. Also, the consumer’s behavior is vital to changing such negative forecasts. The following steps can be taken: recycling; shopping with reusable bags; buying bulk food; avoiding plastic in clothing and cosmetics; creating home-made products; and using jars or resealable packages.

However, plastic cannot be an absoute enemy. None of us can deny the positive effects plastic has had on our lives. Think about hospital equipment! Everything is made of plastic! And, almost all of us are born in a hospital (and we will probably die there too). But, I ask myself – where will all of this end up? Unfortunately, most plastic is not recycled. The above referenced study reveals that only 14% of plastic is recycled, while 70% ends up in landfills or in the oceans.

On the other hand, I am writing on a laptop made of plastic, on a desk that is also coated in plastic, moving a mouse made of… plastic! Help me! The point is that most of us cannot avoid using plastic, even if we really want to. The truth is that few people can do that, but the rest of the world population cannot. We need education and information. Teachers, schools… where are you?

While we must cultivate a global entusiasm for plastic recycling, we also need legislation that supports this “green wave” along with alternative, green technologies that have a low impact on the planet by producing biodegradable materials. Technologies that can reduce the risk of turning our oceans into floating landfills.

Enjoy the beach and have a good swim

Il Paese delle trivelle

Editoriale apparso su ‘Vivere Sostenibile Basso Piemonte’.

Nonostante la corposa tornata amministrativa di giugno, quando andranno al voto milioni di italiani in città come Roma, Milano, Napoli, Torino e Bologna, sarà il prossimo 17 aprile la data nella quale si terrà il referendum sullo stop alle trivellazioni. Questa scelta di data che costerà alle casse dello Stato (e quindi alle nostre tasche) un aggravio di 300/400 milioni, appare giustificata solo dalla volontà che il referendum non raggiunga il quorum e quindi si trasformi in un flop.

Purtroppo si arriva al referendum senza che alla gran massa degli elettori, sia arrivata un’informazione corretta su questo tema importante per le conseguenze sull’ambiente e sull’economia del Paese. Personalmente ritengo che i media tradizionali, asserviti a logiche di schieramento, facciano una continua opera di “distrazione di massa”, utile e spesso indispensabile alla serenità di chi “guida il vapore”, ovvero di chi gestisce il potere e perciò agisce sulla nostra vita quotidiana.

Le ragioni di chi è favorevole alle trivellazioni, sono le solite: lo sviluppo, la crescita economica e, come sempre, l’occupazione. Ancora una volta sostengo con forza che l’economia, lo sviluppo e l’occupazione, sono conseguenza diretta delle scelte di politica economica. Se si investisse di più in ricerca ed applicazione delle energie a impatto zero, se si aumentassero gli sgravi per la riqualificazione edilizia di un patrimonio immobiliare nazionale all’80% in classe energetica “G”, se si costruissero e si ammodernassero le infrastrutture per spostare le merci su rotaia e quelle informatiche, se si puntasse di più su un’agricoltura pulita, sostenibile e libera da fitofarmaci, se si facesse una vera lotta agli sprechi di merce e di beni, dai carburanti fossili sprecati per riscaldare case e industrie “colabrodo”, al cibo prodotto, consumato in eccesso e fatto marcire per logiche mercantili, ebbene se si facesse tutto questo, non ci sarebbe alcun bisogno di cedere agli appetiti ingordi delle multinazionali del petrolio, pezzi di “Bel Paese”, perché vengano massacrati alla ricerca di idrocarburi. Pare che coloro che ancora sostengono l’uso e l’abuso dei carburanti fossili, vivano in un mondo parallelo, dove non si è mai sentito parlare di “riscaldamento globale”. Forse a codesti signori, ancora non è chiaro che esiste una conseguenza diretta tra il bruciare petrolio e derivati e aumento della temperatura globale!

Perciò è importante il nostro piccolo referendum! Perché se vogliamo pensare a un nuovo modello di sviluppo davvero sostenibile per l’ambiente e la società a livello globale, dobbiamo iniziare a dare segnali forti a livello locale! Dobbiamo iniziare a dire a chi governa l’economia, che ci possono essere strade alternative a quella che in 50 anni ha devastato il Pianeta, esasperato le disparità sociali, provocato e alimentato guerre e migrazioni di massa e arricchito una manciata di super-ricchi, affamando gran parte degli abitanti della Terra.

Elogio alle donne

Editoriale apparso su ‘Vivere Sostenibile Basso Piemonte’.

Non, Rien de rien
Non, Je ne regrette rien
Ni le bien qu’on m’a fait
Ni le mal tout ça m’est bien égal

Edith Piaf – Non, Je Ne Regrette Rien (1956)

Le Donne di oggi sono la vera risorsa del nostro presente. Se ci sarà un futuro migliore, sarà grazie a loro, perché capaci di mettersi in gioco e vivere, da attrici consapevoli, questa fase di cambiamento. Secondo voi, quale sarà la percentuale di genere tra vegan, agricoltori biologici o iscritti a corsi di Yoga? Dove penderà l’ago della bilancia? L’uomo oggi sembra sempre di più rassegnato a rappresentare l’icona del sesso debole: arranca, spaventato com’è dall’economia e dalla politica internazionale, cercando (senza trovarla) una soluzione dove non serve più, ovvero nella dimensione intellettuale ed analitica.

Ma perchè, vi direte, quest’elogio alle donne? Non starà esagerando? Non lo so, ma “devo” questo elogio a tutte quelle Donne che, da diversi mesi, sono entrate nella mia quotidianità. Senza di loro, senza la condivisione di valori importanti, tanto di ciò che vivo ogni giorno sarebbe impossibile.

“Le donne reggono il mondo”, così recita un libro che mi è capitato tra le mani qui in Cooperativa (edizioni Altreconomia). Perché? Beh, semplice: oltre a lavorare di più degli uomini e farsi carico della maggior parte delle incombenze domestiche, le donne gestiscono l’economia con più lungimiranza, qualità peraltro molto importante in una situazione di crisi economica, culturale e sociale come quella attuale. Nelle popolazioni meno fortunate (ma in realtà anche in quelle più fortunate, se pensiamo al fenomeno del gioco d’azzardo e alle scommesse sportive) provate a dare la stessa somma di denaro ad una donna e ad un uomo, e vedrete come sarà “investita”.

“Guardare il mondo attraverso gli occhi di una donna significa introdurre radicali trasformazioni tra le certezze del mondo moderno: per loro il benessere va rimesso al centro della società”: così recita il libro sopraccitato. E difatti riconosco quanto nelle donne vi sia poco del bieco individualismo, utilitarismo e senso della concorrenza dello sparring partner maschile. Non che sia mia intenzione etichettarle come più intelligenti o più buone degli uomini; forse, semplicemente, occupandosi di “tanto di più” rispetto ai mariti, si trovano in una posizione dalla quale possono vedere i limiti di questa economia così artificiosa ed insignificante; la speranza è che sempre più uomini (e ce ne sono, per carità!) comprendano che lo stare bene nella vita quotidiana dipende sempre più da elementi quali relazione, comunità, irrazionalità, empatia, dono… tutti elementi che mi auguro emergano sempre di più dalla crisi/opportunità in cui ci troviamo.

Potrebbe essere una visione un po’ semplicistica, lo ammetto, tuttavia sono in molti a credere che la crisi sia stata causata da una visione maschile del mondo. In questo momento c’è bisogno di una nuova visione dell’economia e della società, improntata su principi tipici della componente femminile: un forte elemento Yin (femminile) che vada ad equilibrare l’elemento Yang (maschile), che ci ha guidati verso un sistema economico parziale, ingiusto e insostenibile.

La tipica visione al femminile della società porta a chiedersi: non è preferibile riportare l’attenzione all’assistenzialismo e all’educazione, e quindi a mestieri quali infermiere, operatrici sanitarie e maestre di scuola, rispetto ad agenti di borsa o banchieri (mestieri tipicamente maschili)? Mi chiedo, inoltre: perché le cose a cui viene stabilito un prezzo dal mercato, dovrebbero avere un valore superiore a quelle che non hanno un prezzo? Soprattutto se quest’ultime risultano essere la cura dei figli e dei malati o la produzione di cibo?

E allora,  cari lettori e lettrici, concedetemi questo elogio alle Donne, senza giudicarmi o prendermi per eretico.

Se si guarda negli occhi di una donna,  si vedrà in profondità l’anima della creatura divina che sta davanti a noi. Ci sbaglieremmo di grosso nel pensare che non sia di questo mondo. Lei è un Essere etereo ed è un dono che merita di essere protetto. Permettetemi di onorare le donne nere, le donne musulmane, le donne indigene, le donne trans, le povere donne migranti con bambini piccoli, le prostitute, le donne maltrattate, le donne la cui voce è stata soffocata da decenni e decenni di violenze. Queste sono le donne che non mollano mai, nonostante tutto e tutti.

Vorrei onorare le donne perché vivono il presente per creare un mondo migliore – in cui vi sia giustizia, uguaglianza e libertà per tutti – che espandono la propria consapevolezza oltre allo stesso presente (perché bisogna pensare al domani), al di là della propria esperienza individuale (perché bisogna considerare anche gli altri), al di là del proprio Io (perché bisogna rimettere il focus delle nostre azioni sul cuore).

Io onoro quelle donne che cercano di essere perfette,  perché a loro non hanno mai insegnato che sono favolose così come sono e anche quelle che non cercano di esserlo, perché preferiscono impiegare il proprio tempo in maniera diversa.
Io onoro le donne,  perchè costruiscono ponti laddove c’è separazione: loro sì che sanno, nonostante le inevitabili differenze, quanto apparteniamo gli uni agli altri.
Io onoro le donne,  perché sono “vere”, perché riescono a camminare con il cuore pieno di cicatrici, nonostante le paure e le incertezze. Ma eccole, sempre loro, ad iniziare con un “buongiorno” la mattina, muovendo il primo passo della giornata verso l’Unione, la guarigione e l’Amore.
Io onoro le donne,  perché amano e continuano ad amare questo mondo lacerato dalla sofferenza, perché è pur sempre l’amore la forza che alimenta le nostre azioni.
Io onoro le donne,  perché si sacrificano, perché  danno, perché piangono. Perchè vanno avanti con fierezza, talvolta un po’ selvagge, sicuramente libere.

Ogni donna merita di essere amata. Ogni donna merita che le venga riconosciuta che la sua esistenza è preziosa. Se anche una donna ci sembra inferocita o chiassosa, all’interno sarà vulnerabile, come tutti.

Camminiamo insieme a lei. Guardiamo dentro di lei. Adoriamola, chiunque sia. Lei ci capiterà una volta nella vita. Lei è tutto. Siamone degni.

Inseminazione non-artificiale

Amo sporcarmi le mani di terra. Talvolta arrivo anche a sporcarmi le narici, tanto infilo il naso nel mucchietto di terriccio che accarezzo. Fuori è tutto neve e ghiaccio, è ancora presto e il Sole deve ancora uscire.

Nonostante il freddo della mattina e la stufa che “urla” in cucina, decido che la primavera sta per arrivare. Che è tempo di uscire dal torpore invernale. Ma non ho voglia di guardare il calendario lunare: certe cose si “sentono” e decido che oggi è giorno propizio per seminare nuove creature. Tiro fuori una scatola che prima conteneva Dolci alla mandorla siciliani. È colma di semi nuovi: pomodori “rosso e neri”, meloni “dolci come miele”, peperoncini “piccanti” (perché ne esistono di non piccanti?!), zucchine “trombetta”: che nomi fantasiosi questi semi, impacchettati alla bell’e meglio in carta di giornale, sacchettini di plastica con zip, pallottole di stagnola, … a testimonianza del Caos che governa la mia vita. Due scambi di semi hanno arricchito di biodiversità il mio (ex) misero archivio. Ho ricevuto più di quello che ho dato ed è momento di restituire con il mio tempo e la mia dedizione quanto mi è stato offerto. È la prima volta che mi prodigo con questa Qualità – con calma, pazienza, tranquillità e presenza – all’atto della semina. Lo considero un pezzo del mio sadhana. Ringrazio me stesso per essere riuscito a sviluppare questa attitudine nel ricavare degli spazi e dei momenti privilegiati in cui nessun altro impegno può vanificare. Terra, Acqua, Aria, Fuoco ed Etere: oggi ho stimolato tutti i miei Chakra, posso tornare a riposarmi in casa. Anzi no, è uscito il Sole.

 


No-artificial insemination

I love getting my hands really dirty with earth. Sometimes I even get my nose dirty too, as I push it into the little heap of earth that I am cradling. Outside it’s all snow and ice, it’s still early and the sun has yet to come out.

Despite the freezing morning and the stove that’s wheezing away in the kitchen, I have decided that spring is coming. It’s time to get out of that winter torpor. But I don’t want to look at the lunar calendar; certain things you feel and I have decided that today is the day to sow some new stuff. I pull out a box that previously contained Sicilian almond pastries. It is full of new seeds: “red and black” tomatoes, “sweet as honey” melons, spicy chillies (are there any chillies that aren’t spicy?!), “trumpet” courgettes: what fanciful names these seeds have, wrapped in newspapers, zipped plastic bags, bullets of foil… witness to the chaos that rules my life! Two seed exchanges have enriched with biodiversity my (previously) poor seed store. I received more than I gave and it is time to return with time and commitment everything that I was given. It’s the first time that I’m doing this with this sense of purpose – with calm, patience, peacefulness and presence – the act of sowing. I consider all of this a piece of my sadhana. I thank myself for being able to develop this attitude in finding space and time as nothing else can frustrate me and take me away. Earth, Water, Air, Fire and Ether: today I energized all my Chakras, it’s time to come home and rest. Hey, the sun just came out!

Risparmio e autoproduzione: perchè sì?

Editoriale apparso su ‘Vivere Sostenibile Basso Piemonte’.

Autoprodurre significa tornare a saper fare le cose con le nostre mani, riscoprendo, spesso, metodi di lavoro antichi. Si tratta a tutti gli effetti di una filosofia di vita, oltre che di un atto di rispetto per sè stessi e per il Pianeta. Perché ci fa bene? Perché è un modo di riappropriarsi del proprio tempo, di trascorrerlo liberando la propria creatività, che è in tutti noi, ma che spesso ha bisogno di essere stimolata ed allenata. A molti l’idea piace, però fatica a metterla in pratica, ad altri spaventa: a me, invece, crea dipendenza!
Sì, perché, una o due volte a settimana, mi diletto nella preparazione del pane con la pasta madre e dei germogli;  almeno una volta al mese preparo il latte di soia o di riso (v. mio articolo pag. 14); occasionalmente mi avventuro nella fabbricazione della birra (spalleggiato da amici molto “interessati”), del dentifricio, del detersivo per la lavatrice… Per non parlare di altre trasformazioni legate alla campagna e alla stagionalità, come le marmellate, le conserve e il compost per l’orto. E, in questi casi, ogni mano in più diventa un regalo prezioso.
Di base, prima di acquistare, valuto con attenzione i miei bisogni reali, mi chiedo che cosa mi sia necessario per autoprodurre, per poi decidere in base alle mie possibilità. In questo modo, provo a spostare più in alto l’asticella dei miei usi e consumi, partendo dall’ingrediente base, piuttosto che puntare esclusivamente al prodotto finito.

Non c’è dubbio che la vita del volenteroso autoproduttore sia impegnativa: il tempo sembra non essere mai abbastanza, anche soltanto per cercare le informazioni, le soluzioni più in linea con le proprie aspettative (e budget), per non parlare della preparazione e dell’elaborazione. Produrre in casa costa fatica, ma è divertente e porta grandi soddisfazioni: ci si riconnette con il presente, si riduce lo spreco, l’inquinamento ed, infine, ci si emancipa, per quanto possibile, dal mercato, che ci vizia e stravizia con prodotti e servizi spesso inutili, provenienti da chissà dove e contenenti chissà che cosa.
E’ importante, poi, a mio parere, maturare e mantenere un atteggiamento positivo rispetto a ciò che si compie. Nella filosofia orientale si usa l’espressione karma yoga, ovvero quell’attitudine a compiere un’azione (o un lavoro, qualunque esso sia) godendosi l’attimo presente in cui si svolge, senza dare troppa importanza al risultato e ai frutti delle proprie azioni. È il cammino, il processo, ciò che conta di più. Quel saggio di Goethe, non certo di origine indú, scriveva che “non è importante fare dei passi che un giorno ci condurranno al fine, ognuno di questi passi deve essere in se stesso una meta”.
Non essere più dipendente dal supermercato, perché la zucca che cresce coltivata nell’orto grazie ai semi scambiati o conservati dall’anno precedente, è una possibilità reale, è una realtà concreta: significa aver già intrapreso una rivoluzione di indipendenza, di aver fatto la dichiarazione pubblica di non accettare il controllo dell’industria alimentare. Ma sono scelte, niente di più, niente di meno. Poi è chiaro, si potrebbe discorrere in pagine e pagine sul concetto di cittadino = consumatore, di emancipazione, di resilienza, di ribellione agli schemi e condizionamenti sociali, eccetera eccetera. Tutti discorsi che mi trovano profondamente d’accordo, ma sempre tesi a voler giustificare un qualcosa che, in concreto, ognuno di noi dovrebbe “sentirsi di fare”. La realtà è che, se provassimo a vivere tutti in modo più semplice e frugale, non ci ritroveremmo a vivere in un Pianeta che, ogni anno, perde settimane di vita rispetto all’anno precedente a causa dei cambiamenti climatici derivati dallo sfruttamento dissennato delle risorse naturali non rinnovabili.
L’evoluzione ci ha portato ad innalzarci dalla quadrupedia alla bipedia: allora usiamo le mani, per trasformare in meglio un mondo che non ci piace e che non ci rende felici. E proviamo ad impiegare il nostro tempo, ridotto all’osso, per diffondere, diffondere ed ancora diffondere, le buone pratiche quotidiane!

 

“Laudata” sia la nostra casa comune – Il Papa dal cuore verde

Editoriale apparso su ‘Vivere Sostenibile Basso Piemonte’.

“Ci vuole un’altra rotta, per contrastare la globalizzazione dell’indifferenza.
“Una cosa è certa, l’attuale sistema mondiale è insostenibile”.
“Serve una rivoluzione culturale”.
“No all’antropocentrismo deviato”.
“Difesa della natura”.
“Rinunciare ad investire sulle persone
per ottenere un maggior profitto immediato
è un pessimo affare per la società”.
“Rallentare il passo”.
“Ridefinire il progresso”.
“Tutelare la biodiversità”.
“Conversione ecologica”.

Questo appello non proviene da un anarchico, da un obiettore di coscienza o da un sostenitore della Decrescita Felice… bensì da Papa Francesco, in occasione dell’enciclica dello scorso Giugno “Laudato si’. Enciclica sulla casa comune”. Dove per “casa comune” s’intende il nostro Pianeta, naturalmente. Un Pianeta minacciato dalla diseguaglianza sociale tra Nord e Sud, dal problema dei rifiuti, dal riscaldamento climatico, …
Non c’è che dire, il grido d’allarme di Papa Begoglio in difesa della natura, della Terra “sorella e madre” e dell’ecologia è una presa di posizione che ci riempie di gratitudine. Le sue sagge parole – espresse in pieno Expo 2015, laddove si dovrebbe parlare di come sfamare senza distinzioni la popolazione mondiale – risuonano come una benedizione per noi che, ogni giorno, combattiamo per un mondo più buono e giusto. Il suo messaggio ci fa ben sperare, soprattutto alla luce del miliardo e duecento milioni di credenti che, mossi dal suo invito coraggioso alla solidarietà universale, potrebbero dare una svolta consapevole ad un sistema che si è rivelato fallimentare e che ci sta conducendo al collasso ambientale, economico e sociale.

Che l’enciclica di Papa Francesco non sia letta solo come una semplice riflessione sull’ambiente ma anche come documento politico non mi è chiaro. Se lo farà, significa che avrà trovato terreno fertile in una società comunque fondata sugli abusi della tecnologia e dell’industria, sulle ineguaglianze sociali e sugli sprechi della globalizzazione. Infatti, pur avendo da subito suscitato delle reazioni nella politica internazionale, temo che i governanti attuali faranno fatica anche solo a battere le ciglia – perchè la nostra salvezza è comunque la “crescita”, questo è il mantra che ci propinano da decenni: sta quindi a noi, solo a noi, costituire quella massa critica per far sì che questo sistema possa davvero essere accantonato in favore di uno più attraente. Un sistema che preveda un’economia fondata sui principi dell’ecologia, dell’etica, del bene comune, della condivisione. All’interno del quale le persone possano sentirsi realizzate (felici!) consumando di meno, ma meglio. Dove “sobrietà” sia una delle parole d’ordine. Dove si possa andare oltre al mero utilitarismo del breve periodo. Un sistema fatto da tante piccole azioni quotidiane, tante gocce nel mare, che trasformino i problemi in soluzioni. Crisi come opportunità. “Cominciate col fare tutto ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile” (San Francesco d’Assisi). Qualcuno parlerà di idealismo, altri di utopia. Non è facile “cambiare il mondo”, il sistema attuale non ci vuole felici, perchè saremmo finalmente liberi di sovvertirlo.

“Una persona felice vuole vivere in mezzo ai fiori e di poesia e musica. Perchè dovrebbe interessargli andare in guerra a farsi uccidere o uccidere lui stesso?” diceva Osho. Con un po’ di responsabilità e di coraggio in più, metà del lavoro sarà compiuto. E se servirà un miracolo… “Laudato sì, … mio Signore!”.